Introduzione
Lo scopo di questa relazione è quello di delineare, attraverso la testimonianza lasciataci da Jean de Joinville, la figura di Luigi IX non come santo, né come re e cavaliere, ma bensì come uomo. Nella sua Vita di san Luigi, dedicata a Luigi di Navarra e terminata nel 1309, Joinville ci dona dei bellissimi ritratti di un Luigi IX catturato nei suoi rapporti familiari, nei quali si delinea il suo carattere, il suo comportamento ed i suoi affetti nei confronti della madre, della moglie, dei fratelli e dei figli. Ma ancora più interessante è, a mio modesto parere, la descrizione del rapporto del tutto particolare tra l’autore del testo ed il suo presunto protagonista (nel libro di Joinville sembrano piuttosto due i protagonisti: il re e l’autore stesso): Joinville è infatti “uno dei suoi amici più intimi[1]”, e grazie a questa amicizia possiamo notare tutte le caratteristiche “umane” del re, quasi sempre esaltate ma, a volte, anche criticate dal siniscalco della Champagne.
Di certo non è semplice delineare un profilo dell’uomo san Luigi: alcuni storici, come sottolinea Le Goff, hanno parlato di una riservatezza che rende quasi impossibile ricavare la sua intimità e la sua personalità; tuttavia “il pensiero intimo, la vita interiore e l’evoluzione della personalità di Luigi IX ci sono rivelati dal suo confessore, dai suoi biografi e agiografi[2]”. Lo storico francese introduce, in opposizione al termine “riservatezza”, l’espressione “senso della misura”, indicando con esso quel controllo del corpo e dei gesti fissato dal canonico Ugo di San Vittore e adottato, alla fine del XII secolo, anche dai laici. In questo senso della misura san Luigi resta comunque una figura al limite tra un codice di condotta promosso dai nuovi ordini mendicanti e un codice di condotta propriamente regale, e questo danzare sul bordo rappresenta sia il grande conflitto interno vissuto dal re santo (secondo Le Goff risolto perfettamente nel far agire concordemente morale e politica) che il motivo principale che ci rende difficoltoso delineare la sua personalità. Questo compito ci è inoltre assai difficile perché i suoi biografi e agiografi tentarono sempre di mettere in primo piano la sua santità, cosa a cui non sfugge neanche Joinville, e questi tratti di santità si ritrovano spesso in molti personaggi a lui coevi e in alcuni predecessori della dinastia capetingia come Roberto il Pio, Luigi VII e Filippo Augusto[3], rendendo così difficile intuire se si sia in presenza di particolarità reali o di stereotipi.
Per fortuna Joinville ci viene in soccorso, mostrandoci alcune sfaccettature del re che ci permettono di ricavare qualcosa della sua personalità, anche grazie all’uso di aneddoti che conferiscono verosimiglianza alla sua narrazione; ma prima di addentrarci nella descrizione del re-uomo fatta dal siniscalco della Champagne è necessario spendere qualche riga per comprendere meglio la nostra fonte.
Jean de Joinville e il Livre des saintes paroles et des bons faiz de nostre saint roy Looÿs[4].
Chi era Jean de Joinville? Joinville nasce probabilmente nel 1224, quando Luigi IX aveva già dieci anni. A differenza della maggior parte degli agiografi e dei biografi del re santo, Joinville è un laico: cresce nella corte del suo signore, Tebaldo IV di Champagne, e a diciotto anni diventa siniscalco della Champagne. Incontrò per la prima volta il re quando era ancora un giovane scudiero, il 24 giugno 1241 a Saumur in occasione dell’armatura a cavaliere del fratello di san Luigi, Alfonso conte di Poitiers, e lo seguì nella crociata in Egitto del 1248, partendo da Marsiglia e raggiungendo il re a Cipro. Era un signore di media importanza, non faceva parte della stretta cerchia dei consiglieri “istituzionali” del re e non possedeva enormi ricchezze, tanto che prima di partire dovette dare in garanzia gran parte delle sue terre. Rimase con san Luigi fino al 1254, quando tornarono in Francia, e rifiutò di prender parte alla spedizione del 1270 a Tunisi, nella quale il re morì. Nel 1282 fu ascoltato dall’arcivescovo di Rouen, Guillame de Flavacourt, e dal domenicano Jean de Samois come testimone nel corso dell’inchiesta per la canonizzazione di san Luigi, ma ormai era già uscito dalle grazie dei successori del suo santo amico. In occasione dell’elevazione del corpo di Luigi IX a Sanit-Denis, il 25 agosto 1298, fu però indicato dal frate domenicano che guidava la cerimonia come testimone fondamentale per la sua canonizzazione. Morì il 24 dicembre del 1317, alla veneranda età di 93 anni.
Il Livre des saintes paroles et des bons faiz de nostre saint roy Looÿs gli fu commissionato dalla regina Jeanne della Champagne e di Navarra, moglie di Philippe IV il Bello. L’opera è però dedicata a suo figlio Luigi, il futuro Luigi X le Hutin, re di Francia dal 1314, in quanto Jeanne morì a Vincennes il 2 aprile 1305, quattro anni prima che Joinville avesse terminato la stesura del suo testo. Essendo stato a stretto contatto con Luigi IX, soprattutto durante i sei anni della sua prima crociata, Joinville è testimone oculare di gran parte del suo racconto, e solo per l’infanzia del re e per la sua morte si basa su attestazioni di terzi. Per quanto concerne la crociata di Tunisi e la morte del sovrano, suo referente è il conte Pierre d’Alençon, settimo figlio di san Luigi, nato nel 1251 nei pressi di Acri e morto nel 1284, ben 25 anni prima che Joinville completasse il suo volume, il che rafforza il ruolo della memoria nell’opera del siniscalco.
La memoria è il motore principale di questo libro, ed è una memoria che privilegia non tanto i contenuti quanto la storia. Nonostante non segua in maniera costante un ordine cronologico, la parte principale e più corposa del libro, quella dedicata alla crociata, è un vero e proprio racconto: molti storici eminenti, a partire da Antoine Pierre nel 1547, passando per Natalis de Wailly nel 1874 fino all’edizione da me utilizzata, quella di Armando Lippiello del 1999, hanno preferito utilizzare il titolo Storia di san Luigi piuttosto che Vita di san Luigi.
Senza dilungarmi troppo sulla natura generale di quest’opera, di cui del resto già tanto è stato scritto, passerò ora a descrivere ciò che da essa è possibile evincere sulla personalità di san Luigi. Credo che la personalità di un uomo sia costituita in primo luogo dal suo circuito di affetti, quindi ho pensato di soffermarmi innanzitutto sul rapporto tra san Luigi e i suoi familiari (madre, moglie, fratelli e figli), per poi concludere descrivendo quelle caratteristiche della sua personalità che scaturiscono dal racconto del forte legame di amicizia tra il re e il siniscalco.
Luigi e la madre.
La figura di Bianca di Castiglia è stata fondamentale nel regno di Luigi IX. Nata nel 1188 da Alfonso VII di Castiglia e Eleonora d’Inghilterra, sposò a dodici anni Luigi VIII da cui ebbe undici o dodici figli, la maggior parte dei quale morirono in tenera età. Dal periodo di minorità di Luigi sino alla sua morte, la regina ebbe sempre un fortissimo ascendente sul figlio, sia nella sua formazione che nelle sue scelte politiche. Citando Le Goff “[…] la Francia, fino al 1252, anno della morte di Bianca di Castiglia, fu governata dalla coppia Luigi/Bianca, percepita proprio come una coppia[5].” Del resto Luigi aveva perduto suo padre, Luigi VIII[6], quando aveva appena 12 anni, ovvero nel 1226. Tuttavia il potere fu sempre nelle mani del re, e non vi fu una diarchia alla testa del regno di Francia[7].
Di Bianca di Castiglia e del suo rapporto con Luigi parlano tutti i suoi biografi e agiografi, da Geoffroy de Beaulieu a Guillame de Saint-Pathus, risaltando le qualità della prima e la sua importanza nel plasmare la figura di san Luigi; ovviamente anche Joinville spende delle parole per sottolineare questo rapporto madre – figlio. La grande influenza di Bianca sull’educazione “laica” tanto quanto religiosa è descritta in questo passaggio:
Quanto all’anima del re, Dio la protesse attraverso la buona educazione che ricevette da sua madre, che gli insegnò a credere e ad amare Dio e che lo circondò di uomini di religione. […] la regina gli faceva ascoltare tutte le Ore e dei sermoni i giorni di festa. […] sua madre gli aveva fatto capire che avrebbe preferito che fosse morto piuttosto che avesse commesso un peccato mortale[8].
Anche Bianca di Castiglia era pervasa da un fortissimo senso religioso. La sua grande devozione è palesata nel racconto del banchetto di Saumur, durante il quale era presente un giovane che si diceva fosse il figlio di santa Elisabetta di Turingia: la regina baciò questo giovane sulla fronte per emulare le gesta della santa[9].
L’influsso della madre sulle decisioni di san Luigi è dimostrato anche nelle richieste di contributi a baroni e cavalieri che seguirono la vittoria contro Enrico III, nelle quali si dimostrò giusto ed equilibrato proprio perché
[…] egli agiva così dietro consiglio della sua buona madre che era con lui, consiglio che egli seguiva[10].
L’amore di Bianca per Luigi è in primo luogo l’amore di una madre per un figlio, un amore che sembra superare i ruoli istituzionali e le decisioni politiche. Le Goff afferma che solo in un’occasione madre e figlio si scontrarono: quando il re santo guarì dalla grave malattia che aveva indotto molti a crederlo già morto, Bianca mostrò tutta la sua gioia; ma nella stessa circostanza mostrò un enorme dolore dinanzi la sua scelta di farsi crociato, “lo stesso dolore che se lo avesse visto morto[11].” Qui, secondo lo storico francese, non c’è però solo il dolore di una madre che teme di non rivedere più il figlio: c’è anche la preoccupazione per l’amministrazione del regno, un’amministrazione che è diventata più complessa sotto Luigi IX e che spinge l’interesse politico ad interagire con l’affetto materno.
Nel racconto della crociata resoci da Joinville, Bianca di Castiglia compare la prima volta come protagonista quando san Luigi convoca un consiglio per decidere se tornare in Francia o restare in Egitto: è proprio la madre del sovrano che invoca il ritorno del figlio, lo prega con tutte le sue forze[12], perché a suo avviso il regno è in pericolo.
All’inizio dell’estate del 1253, dunque durante la permanenza a Sayette, Luigi è informato della morte della madre. Questa era in realtà deceduta nel novembre del 1252, ma, come affermato da Lippiello, dobbiamo tenere in conto il tempo necessario affinché una notizia giungesse all’epoca dalla Francia alla Terra Santa. Joinville ci descrive un san Luigi moralmente devastato da questa notizia:
Ne mostrò una così grande disperazione che per due giorni fu impossibile parlargli. […] Quando arrivai davanti a lui nella sua camera, dove era solo, e che mi vide, stese le bracci e mi disse: “Ah! Siniscalco, ho perso mia madre!”[13].
Qui la reazione del siniscalco è abbastanza stupefacente: la sua prima affermazione è infatti un quasi glaciale “ella doveva pur morire[14]”, e invece di consolare il sovrano per la grave perdita lo rimprovera per non nascondere meglio i suoi sentimenti. Joinville vede il pianto del sovrano come un segno di debolezza di fronte ai nemici, e non considera questa dimostrazione d’amore, seppur doloroso, come qualità morale del sovrano, ma come un difetto da correggere, sovvertendo di fatto il topos del grande che mostra la sua umanità attraverso l’abbondanza di lacrime e le dimostrazioni di dolore. A proposito di questo avvenimento, Le Goff afferma che, proprio in quanto l’atteggiamento del sovrano sembra la pura riproduzione di un modello di comportamento medievale (citando a proposito il Carlomagno della Chanson de Roland) è impossibile determinare l’autenticità di tali lacrime[15].
Come vedremo nel paragrafo successivo, sarà opposto il giudizio rispetto al rapporto di Luigi con moglie e figli: qui è accusato di dimostrare troppo affetto per la madre, lì di essere troppo freddo e di non interessarsi abbastanza.
Luigi e la moglie.
Il matrimonio tra Luigi IX e Margherita di Provenza, primogenita del conte di Provenza Raimondo Beringhieri V, ebbe luogo a Sens il 27 maggio 1234. Luigi aveva vent’anni e si trovava, come evidenzia Guglielmo di Nangis, al suo ottavo anno di regno[16]: un matrimonio dunque un po’ tardo per un re medievale, ritardo che Le Goff mette in relazione con la predominante figura di Bianca di Castiglia, che dopo il matrimonio avrebbe potuto perdere parte del suo ascendente sul figlio.
Come modello di matrimonio medievale, anche quello di Luigi con Margherita fu un matrimonio prettamente politico, in quanto da una parte rafforzò ulteriormente la presenza della monarchia in Provenza e nel sud della Francia, e dall’altra, grazie ai matrimoni delle altre figlie di Raimondo Beringhieri, la posizione della monarchia francese nei confronti di quella inglese (fu molto importante a questo riguardo il forte e reciproco affetto tra Margherita e sua sorella Eleonora, che nel 1236 sposa Enrico III d’Inghilterra). Sottolineare la funzionalità politica di questo avvenimento è di fondamentale importanza per comprendere il rapporto umano tra il re e la sua consorte: il loro matrimonio fu tutt’altro che uno sposalizio tra innamorati. “Un matrimonio d’amore è privo di senso nel medioevo[17]”. Questo però non vuol dire che Luigi non provasse assolutamente niente nei confronti della moglie: l’elevato numero di figli non può essere solo collegato agli interessi dinastici, e il controllo sulla vita a letto dei coniugi da parte di Bianca di Castiglia sembra essere legato a timori di tipo morale. Del resto la carne è carne.
Nel racconto di Joinville il lato politico dell’accordo è preceduto, nelle parole di san Luigi, da una dichiarazione che sottolinea l’importanza che per lui aveva la famiglia:
Poiché abbiamo per mogli due sorelle e i nostri figli sono cugini di primo grado, è molto importante che ci sia pace tra di noi.[18]
A me sembra però che le parole successive, ovvero la spiegazione del suo gesto come mossa per rendere il re d’Inghilterra suo vassallo, siano molto più significative per lo stesso Luigi IX. Del resto Joinville non da un buon giudizio del rapporto tra il re e sua moglie. Durante il racconto della crociata, più precisamente durante la permanenza a Sayette (Sidone, luglio 1253 – febbraio 1254), il siniscalco ci racconta l’arrivo, dopo la nascita di Blanche avvenuta a Jaffa, di Margherita di Provenza. Luigi è intento ad ascoltare la messa, e non si reca incontro alla moglie, cosa che invece viene fatta da Joinville. Quest’ultimo prende a pretesto quest’episodio per affermare che:
[…] erano già cinque anni che ero presso di lui e non aveva parlato né della regina né dei suoi figli, che io sappia, con me o con altri; mi sembra che non sia una buona maniera di comportarsi, ignorare così la propria moglie e i propri figli.[19]
In questo passo e in questi giudizi il rapporto tra Joinville e san Luigi sembra ribaltarsi: in quasi tutto il suo racconto è il secondo che funge da maestro, di religione e di morale. Ma quando si parla di famiglia, i giudizi del siniscalco si fanno più aspri, ed il sovrano viene apertamente accusato di scarsità d’affetto nei confronti dei suoi cari (mentre è il contrario per la madre[20].) Joinville sembra parteggiare apertamente per Margherita di Provenza, di cui apprezza la fede cristiana e il senso dell’umorismo[21].
In occasione della morte di Bianca di Castiglia, il racconto del siniscalco si sofferma nel dipingere il difficile rapporto tra la regina e la madre di suo marito. Afferma che la seconda trattò molto duramente la prima, impedendole anche di dormire nello stesso letto di Luigi[22]. Riferisce di un episodio nel quale Margherita, a seguito di complicanze da parto, si trovò in serio pericolo di vita, e Bianca la privò del conforto del marito aggravando ancora di più le sue condizioni[23]. Tuttavia descrive anche la disperazione di Margherita alla notizia della morte di Bianca, ma questa è funzionale alla descrizione della sua devozione verso il marito, in quanto non si disperò tanto della morte della suocera quanto del dolore di Luigi[24]. Questi passaggi sul rapporto tra suocera e nuora sono molto interessanti perché per la prima volta, e a differenza dei biografi e agiografi di san Luigi, Bianca non compare come la madre pia e saggia del re ma assume una connotazione fortemente negativa. Le Goff, in merito all’episodio della malattia di Margherita, utilizza il termine odiosa[25], a mio avviso non a tutti i torti; quello che mi colpisce ancora di più è vedere come Joinville parteggi apertamente per la nuora, prendendone le difese a spada tratta e non esitando a “calunniare” la defunta regina.
Luigi e i fratelli.
Nelle pagine di Joinville leggiamo di un re che è molto affezionato ai fratelli. Li aveva resi cavalieri e si era occupato di loro affidandogli posizioni di grande potere politico anche attraverso un’attenta strategia matrimoniale. I suoi fratelli lo avevano seguito in Terra Santa, e proprio in Egitto il conte d’Artois (così si riferisce Joinville a Roberto, fratello di Luigi e più giovane di appena due anni, cugino dell’imperatore Federico II grazie al matrimonio con Matilde di Brabante), durante la battaglia del martedì grasso (o battaglia della Mansurah), trovò la morte. All’annuncio di questa morte da parte del frate Henri de Ronnay assiste anche il siniscalco di Champagne, che sottolinea come
Grosse lacrime cominciarono allora a cadergli dagli occhi (del re).[26]
Come abbiamo già visto in occasione della morte di Bianca di Castiglia, Joinville ci tiene a sottolineare le reazioni emotive di san Luigi. Anzi, citando Lippiello, sono osservazioni e dettagli come questi […] che rendono l’opera di Joinville unica e moderna[27].
Ne emerge dunque un rapporto che non solo è ricco di interessi dinastici e familiari, ma è anche ricco di amore e di affetto: nonostante secondo molti (in primis Matteo Paris) il comportamento in battaglia di Roberto fu tutt’altro che eroico, Luigi non smise mai di considerarlo un martire del cristianesimo.
L’11 febbraio del 1250, quando l’altro suo fratello Charles (Carlo d’Angiò, 1226-1285), futuro re di Sicilia nel 1265 ma allora solo conte d’Anjou, si trovò in seria difficoltà sul campo di battaglia, il re
Cavalcò tra le truppe di suo fratello, spada in pugno, e si lanciò così avanti tra i turchi che gli fu gettato del fuoco greco sulla groppiera del cavallo.[28]
Anche in questa occasione a mio avviso la foga con la quale il re si getta tra i nemici per salvare la vita del fratello sta ad indicare un qualcosa in più della semplice attenzione per la sorte della dinastia.
Tuttavia dopo la vittoria del venerdì il campo fu invaso dalla malattia e non si riuscì a trovare una soluzione al blocco navale imposto dai musulmani lungo il Nilo, blocco che impediva ai rifornimenti alimentari di giungere al campo dell’esercito del re. Una tregua si rivelò necessaria e, stando alle parole di Joinville, una delle condizioni proposte dai consiglieri del re fu quella di lasciare in ostaggio uno dei suoi due fratelli[29]. Questo sicuramente non sembra un gesto d’affetto, anche se a fare la proposta furono i consiglieri, non Luigi in persona; ma quanta autonomia avevano questi? È possibile ipotizzare che il re non fosse a conoscenza di questa clausola? A mio modesto parere, riscontrando l’autorità con la quale Luigi IX era solito assumere le sue decisioni e il suo controllo su ogni forma di emanazione del potere regio, no. Si potrebbe allora ipotizzare che il re fosse si legato affettivamente con i suoi fratelli, ma che comunque questo affetto non andava oltre ciò che poteva permettergli il suo ruolo di re di Francia: citando Le Goff, in san Luigi “Il sentimento familiare si è sempre intrecciato in lui col senso politico[30].”
Questo è dimostrato anche dal fatto che, dopo la sconfitta dell’esercito cristiano e la cattura del re e delle principali personalità del regno di Francia partecipanti alla crociata, il conte di Poitiers (Alfonso, 1220-1271, investito nel 1241 da Luigi IX della contea di Poitiers, poi anche conte di Tolosa dopo il matrimonio con Giovanna di Tolosa) fu effettivamente trattenuto dai saraceni come ostaggio, in attesa del pagamento della somma di 200000 lire, prima trance del pagamento di 400000 lire che Luigi IX promise, insieme alla restituzione della città di Damietta, come riscatto. Ma quando a pagamento avvenuto il fratello del re fu liberato, fu grande la gioia del sovrano e di tutto il suo seguito, segno che comunque i due fratelli erano legati da un grande affetto.
Tra i suoi fratelli comunque era il defunto conte d’Artois quello cui era più legato. Nel viaggio da Damietta ad Acrì si confida con Joinville sul rapporto con i suoi fratelli, e così il siniscalco riporta le sue parole:
[Il re] Rimpiangeva molto la morte di suo fratello, il conte d’Artois, e diceva che questi non avrebbe evitato, se non a malincuore, la sua compagnia, come faceva invece il conte di Poitiers, ma che sarebbe venuto a trovarlo perfino sulle galere.
Si lamentava con me anche del conte d’Anjou, che era a bordo della nave e non gli faceva alcuna compagnia.[31]
Sempre in questo passaggio si legge di un re che è anche educatore di suo fratello. Poco dopo la loro partenza da Damietta si adirò molto con il conte d’Anjou perché, nonostante i lutti che avevano dovuto subire, si era subito messo a giocare ai dadi[32].
Nonostante ciò, nel racconto di Joinville è descritto anche l’affetto dei fratelli nei confronti di Luigi: nel momento della loro partenza da Acri, scrive Joinville
Tutti e due i fratelli si raccomandarono molto a me di vegliare sul re […] Quando il conte d’Anjou vide che era giunto il momento di imbarcarsi sulla nave, mostrò un tale dolore che tutti si meravigliarono. [33]
Luigi e i figli[34].
Luigi e Margherita ebbero 11 figli, sei maschi e cinque femmine. Il primo di essi nacque nel 1240, dunque sei anni dopo il matrimonio, scatenando una sorta di panico tra il seguito del re per la paura di una presunta sterilità di Margherita. La nascita del primo figlio venne dunque vista come una specie di miracolo, che Le Nain de Taillemont attribuisce a san Tebaldo: Le Goff ci tiene a sottolineare però che la nascita miracolosa del primogenito di un re di Francia è uno stereotipo medievale.
Non molto si trova nel libro di Joinville sul rapporto tra Luigi IX e i suoi figli. Questo molto probabilmente perché il racconto è incentrato sulla crociata, dunque un periodo nel quale il re era assorto in ben altri compiti che quello di padre. Tuttavia, nelle pagine conclusive, troviamo la descrizione di un Luigi educatore e dolce con i figli: nel capitolo 139 Joinville ci parla di come Luigi
Prima di coricarsi nel suo letto, faceva venire i suoi figli davanti a lui e raccontava loro le gesta dei buoni re e dei buoni imperatori e dicevano che dovevano prendere esempio da tali uomini.[35]
Sempre nello stesso passaggio il siniscalco ci racconta di come Luigi fornisse ai propri figli anche dei brutti esempi, in modo da insegnargli i comportamenti da evitare, e un’adeguata formazione religiosa, insegnando loro a dire le preghiere e ad ascoltare la messa[36].
San Luigi ricopre il ruolo di educatore per tutto il libro di Joinville, e non soltanto per i figli: lo vediamo dare esempi al siniscalco stesso, ai soldati, ai fratelli e agli stessi membri del clero. Non sorprende dunque che alla fine del suo volume Joinville abbia deciso di inserire gli “Insegnamenti” a suo figlio Filippo, anche se in realtà gli insegnamenti scritti da Luigi IX furono due.
Secondo alcuni sarebbero stati prodotti da san Luigi sul letto di morte a Cartagine, ma è molto più probabile che essi siano stati composti nel 1267 o meglio nel 1270, poco prima della sua partenza per la seconda crociata. Altri addirittura sostengono che siano stati scritti di propria mano dal re[37], che ne dedica uno al figlio Filippo (1245-1285), il futuro Filippo III, e l’altro alla figlia Isabella (1242-1271), che nel 1255 sposò Tebaldo V conte di Champagne e re di Navarra. Entrambi questi testi sono ricchi di consigli su come i figli del re debbano comportarsi, e quelli dedicati al figlio rappresentano in molti passaggi un vero e proprio Specchio dei principi. Ma oltre ai suggerimenti sulle linee di condotta, negli insegnamenti sono presenti alcuni passaggi che possono esserci utili per delineare la figura del re-uomo: sono quei passaggi in cui Luigi IX parla da padre, e si rivolge ai figli esprimendo il suo affetto nei loro confronti.
Ma andiamo con ordine e vediamo come Joinville ci parla della genesi di questi insegnamenti. Siamo a cinque capitoli dalla fine del Livre quando il siniscalco ci descrive un re sbarcato a Tunisi in pessime condizioni di salute, provato dalla vecchiaia e colpito dalla dissenteria. Anche Filippo è ammalato quando viene chiamato dal padre, cosciente dell’imminente fine, per ricevere quegli insegnamenti che, sempre secondo Joinville,” furono scritti dal re con la sua santa mano, come viene detto[38].” Solo a questo punto il siniscalco trascrive, in francese[39], i quattordici paragrafi che costituiscono gli Insegnamenti. Il documento si apre con le parole “Bel figlio”: già qui mi sembra di avvertire un tono dolce e paterno più che un tono di re. A questo incipit seguono una serie di consigli su come accettare Dio e seguire i precetti del cristianesimo, poi dei consigli per amministrare rettamente il regno, per essere sempre in compagnia di persone sagge, giuste e leali, lealtà che raccomanda anche per l’amministrazione della giustizia, e che deve essere comunque accompagnata dalla flessibilità; gli consiglia di restituire beni in suo possesso ma che appartengono ad altri, lo mette in guardia affinché i suoi sudditi vivano in pace e con rettitudine, lo esorta a tenere sempre in favore le buone città, a rispettare e tutelare la Chiesa ed i suoi beni; gli consiglia il rispetto dei genitori (qui torna il tema dell’importanza della famiglia) e l’impegno per la pace, di avere dei buoni amministratori, di combattere eresie e bestemmie e di vigilare sempre sulle spese di corte; infine chiede l’intercessione per la sua anima e gli concede una commovente benedizione.
Anche se delle dichiarazioni esplicite d’affetto e d’amore si trovano solo al principio e alla fine degli Insegnamenti, il tono dei quattordici paragrafi è un tono dolce, un tono che in ogni modo trasuda amore paterno.
Un aspetto interessante degli Insegnamenti a Filippo III è che in essi, più precisamente all’undicesimo punto, Luigi fa un riferimento esplicito a suo nonno Filippo Augusto: è la seconda volta che troviamo nel libro di Joinville san Luigi che cita suo nonno[40]. Sarebbe interessante approfondire ulteriormente il rapporto tra Luigi e Filippo Augusto, ma Joinville non ne parla[41].
È altrettanto interessante notare come Luigi sia interessato ai figli, ma solo quando questi diventano adulti: non c’è alcun accenno ai figli più piccoli, li si ritrova solo quando devono apprendere dal padre le linee di condotta da adottare in quanto appartenenti alla famiglia reale, di conseguenza in relazione al loro ruolo politico.
Luigi e il siniscalco.
Come già affermato in precedenza, il rapporto tra l’autore del libro ed il suo protagonista è del tutto eccezionale. Molto si può evincere tra le righe della Storia, e sono molte le sfaccettature del loro rapporto: prima di figurare come amico e come caro, Luigi compare come maestro di Joinville. In primo luogo i suoi sono insegnamenti teologici: tramite esempi e racconti, il re santo cerca di mostrare al siniscalco la condotta del buon cristiano indicata dalla dottrina:
Nelle sue conversazioni con me il santo re si sforzò, con tutto il suo potere, di farmi credere fermamente nella dottrina cristiana così come ci è stata data da Dio.[42]
I capitoli VIII e IX in particolare sono interamente dedicati alla concezione della fede da parte di Luigi, una fede a cui bisogna credere senza porsi troppe domande, così come non ci si pongono domande sul nome del proprio padre. Quella delineata dal re è un’obbedienza[43] cieca, un abbandono totale ai precetti apostolici e dottrinari come sono cantati ogni domenica durante il Credo[44]. Alla disobbedienza è preferibile il martirio e la morte, ed è anzi proprio nei momenti in cui il buon cristiano è più tenacemente tentato dal diavolo a non seguire la dottrina che egli deve mostrare la propria forza nella fede.
Dagli insegnamenti e dalla devozione del re possiamo apprendere anche alcuni aspetti della sua quotidianità che sono delineati solo nelle pagine del siniscalco. Così nel capitolo XI possiamo leggere il rapporto tra il protagonista e la preghiera:
[…]tutti i giorni aveva modo di ascoltare le Ore accompagnate dal canto, una messa di requiem senza canto e poi, secondo il caso, la messa del giorno o l’ufficio del santo accompagnati dal canto. Si riposava sul suo letto tutti i giorni, dopo aver mangiato; e dopo aver dormito e riposato diceva, in privato nella sua camera insieme ad uno dei suoi cappellani, l’orazione per i defunti prima di ascoltare i vespri. La sera ascoltava la compieta.[45]
Ciò che emerge da queste righe sono giornate scandite dalla preghiera, come fosse un monaco[46], una preghiera che tra l’altro è sempre collettiva, come se dalla sua partecipazione il suo seguito dovesse trarre esempio e insegnamento di rettitudine cristiana.
Gli ideali cristiani furono sempre al centro dell’azione legislativa e giurisdizionale del re; ed è proprio dalla descrizione del re intento a risolvere questioni giudiziarie che possiamo trarre altri aspetti significativi delle sue abitudini, come quella di sedersi a terra:
Quando il re ritornava dalla chiesa ci faceva chiamare e, seduto ai piedi del suo letto, dopo averci fatto sedere intorno a lui, ci domandava se ci fosse qualche caso che potesse essere evaso solo da lui.[47]
L’atto di sedersi a terra è riportato anche da Salimbene da Parma, quando ci descrive il re in compagnia di francescani intenti ad ascoltare una messa ad Auxerre[48]. Ancora più belle e interessanti sono le descrizioni di Luigi IX intento a risolvere cause giudiziarie nel bosco di Vincennes e nel giardino di Parigi. In quest’ultimo caso, oltre a sottolineare la sua postura, Joinville torna a descrivere il semplice abbigliamento del re:
[…]vestito di una cotta di vestito di lana, di una sopravveste di lana senza maniche, con un mantello di taffettà nero allacciato al collo, molto ben pettinato, senza cuffia, e con un cappello con piume di pavone bianco sulla testa.[49]
Amministrare la giustizia seduto a terra e con abiti semplici: non si può pretendere più umiltà per un re di Francia![50]
Nella descrizione dataci da Joinville dell’amministrazione della giustizia da parte di san Luigi emerge anche un altro particolare, ovvero quello di un re che parla: egli si rivolge personalmente a chi conversa con lui, e corregge nel caso di errore dei suoi portavoce. La parola per san Luigi è molto importante, ed è una parola che è pregna del suo tempo: egli si esprime, come abbiamo già accennato, tramite insegnamenti, ama utilizzare degli exempla e ricorre spesso ai metodi della disputazio universitaria, tipica dell’insegnamento della teologia nell’Università di Parigi a lui tanto cara.
Gli ideali cristiani furono, come già detto, sempre al centro del pensiero e dell’azione di Luigi IX, e spesso questi si trasformarono in azioni di moralizzazione della società in cui viveva: in Francia queste si tradussero nelle Grandi Ordinanze, in Terrasanta in alcune iniziative che ci vengono descritte da Joinville, come nel caso dei giorni successivi alla presa di Damietta. Dopo questa vittoria infatti seguì un periodo di generale lassismo morale, causato anche dalle ricchezze accumulate con la vittoria: lo spreco di beni e la prostituzione erano all’ordine del giorno, e così, dopo il periodo di prigionia in seguito alla sconfitta della Mansurah:
Successe […] che il re congedasse molta gente dal suo servizio. E gli domandai perché avesse fatto questo; mi disse che aveva saputo con certezza che, alla distanza a cui si lancia un sasso dal suo padiglione, quelli che aveva congedato avevano installato il loro bordello, nonostante l’esercito attraversasse il periodo di più grande sventura.[51]
Ci sono però dei passaggi nel libro di Joinville che mostrano come, nonostante la sua ammirazione per il sovrano, il loro rapporto rimanesse sempre legato ai vincoli e alle formalità dei loro ruoli socio-istituzionali. Prima della partenza per la crociata d’Egitto, dunque quando ancora tra i due non si stringe l’amicizia, il re impone ai baroni il giuramento di fedeltà e lealtà ai suoi figli in caso della sua morte; ma quando chiede a Joinville di fare lo stesso, lui si rifiuta perché non era suo vassallo[52].
È durante la crociata, e soprattutto durante la permanenza ad Acrì (maggio 1250 – marzo 1251), che nasce il legame affettivo vero e proprio tra san Luigi e Joinville. Appena ripreso dalle fatiche e dalle malattie che lo avevano colpito durante le battaglie, il siniscalco si recò in visita al sovrano, e così ci descrive la reazione di quest’ultimo:
Mi rimproverò e mi disse che non avevo agito bene ad aspettare così tanto prima di fargli visita; mi ordinò, se avevo a cuore il suo affetto, di mangiare insieme a lui tutti i giorni, mattino e sera, fino a che non avesse deciso cosa fare, tornare in Francia o restare.[53]
Legato alla decisione di tornare in Francia o restare in Terra Santa è un altro episodio a mio avviso significativo nella descrizione del rapporto tra re e siniscalco: durante il consiglio convocato a tal proposito da san Luigi, Joinville dichiarò che sarebbe stato opportuno restare per almeno un anno ancora, perché il sovrano aveva speso solo il denaro ricavato dalla decima datagli dal clero, mentre se avesse speso i suoi denari sarebbe stato in grado di richiamare altri cavalieri dalla Francia. Nel pranzo successivo al consiglio, il re fece sedere Joinville al suo fianco, ma senza rivolgergli parola. Leggiamo allora l’apprensione del siniscalco, preoccupato di aver offeso Luigi con le sue osservazioni:
Non mi parlò affatto per tutta la durata del pranzo; non era questa sua abitudine, perché prestava sempre attenzione a me mentre mangiavamo. Pensavo che fosse veramente arrabbiato con me perché avevo detto che non aveva ancora speso niente di suo mentre avrebbe dovuto farlo con generosità.[54]
Joinville non sembra solo preoccupato, ma anche un po’ offeso per le mancate attenzioni del sovrano, tanto da pensare che se il re non avesse seguito il suo consiglio se ne sarebbe andato dal principe di Antiochia, a cui era anche legato affettivamente, in attesa del ritorno di una crociata. È proprio mentre è assorto in tali pensieri che il re gli si fa incontro, prendendolo alle spalle e sorprendendolo. Ma lasciamo parlare Joinville:
Mentre ero così, il re venne ad appoggiarsi sulle mie spalle e mi tenne le sue mani sulla testa. Pensai che fosse monsignor Philippe de Nemours […] Per disavventura, girando la testa, la mano del re mi passò davanti al viso e mi resi conto, da uno smeraldo che aveva al dito, che si trattava del re.[55]
A questo gesto, che è sicuramente un gesto d’affetto, segue un dialogo tra i due nel quale il re rassicura il siniscalco e lo ringrazia per il suo consiglio, rendendolo più tranquillo e sicuro rispetto a tutti coloro che lo avevano attaccato durante il consiglio.
Proprio quando Luigi decise di restare e proseguire la crociata troviamo il secondo momento nel quale i ruoli socio-istituzionali prendono il sopravvento rispetto ai legami affettivi. Impegnato nella ricerca di cavalieri per la guerra, il sovrano imbastisce una contrattazione con il siniscalco: questi viene ingaggiato per duemila lire, da ripartire tra lui e altri tre cavalieri. Nonostante il carattere formale della contrattazione, è indicativo come Joinville ci tenga a sottolineare l’affetto che lo legava al re, tanto da far iniziare il loro dialogo con la frase di Luigi: “Siniscalco, sapete che vi ho sempre voluto bene[56].”
Il legame affettivo sembra prendere il sopravvento durante una successiva negoziazione tra i due che ebbe luogo durante il periodo di permanenza a Cesarea (marzo 1251 – maggio 1252): il precedente contratto sarebbe scaduto durante la Pasqua, quindi il re chiese a quali condizioni Joinville sarebbe rimasto per un altro anno. Il siniscalco domandò la stessa quantità di denaro che aveva chiesto un anno prima, ma poi aggiunse:
“Poiché voi vi arrabbiate quando vi si domanda qualche cosa, voglio che voi conveniate con me che se vi domando qualche cosa durante tutto questo anno, voi non vi arrabbierete; e se voi mi rifiutate quello che chiedo, neanche io mi arrabbierò”.[57]
Qui è l’amicizia che prende il sopravvento, ed il contratto tra cavaliere e sovrano sembra tramutarsi in un patto tra amici (sebbene di rango e ruolo differenti). Ma ancora più interessante per delineare il profilo di Luigi IX come uomo è la reazione di quest’ultimo alla proposta di Joinville:
[…] Quando udì questo, scoppiò a ridere fragorosamente e mi disse che mi avrebbe ingaggiato a queste condizioni; mi prese per mano e mi portò verso il legato e verso i suoi consiglieri e ripeté loro l’affare che avevamo fatto.[58]
Ecco che compare, per la prima volta durante la narrazione della crociata, un re sorridente, un re che ama ridere. Del resto avevamo già incontrato, con l’accenno alla gelosia tra Robert de Sorbon e il siniscalco, un re che ama anche divertirsi: questa è sicuramente una caratteristica peculiare di san Luigi[59]. Così, mentre si trovavano sulla spiaggia di Acri dopo un periodo di permanenza a Sayette, troviamo di nuovo Luigi che ride fragorosamente ad una battuta di Joinville sulla sua santità[60]. Il siniscalco ama raccontare aneddoti divertenti, e non solo riguardanti il re: nel capitolo 113 sono descritti i vari scherzi che il conte d’Eu, suo vicino nell’accampamento di Sayette, fa a Joinville, come disturbarlo durante i pranzi lanciandogli oggetti con una piccola catapulta “casalinga” o come quello, un po’ meno divertente, della sua orsa a cui faceva uccidere le galline del siniscalco[61].
Accanto a un re che ama ridere e divertirsi, troviamo però anche un re che si adira, forse per Joinville un po’ troppo facilmente: nel giorno della partenza da Hyères (dove era sbarcato all’inizio del luglio 1254, preferendo per comodità questo porto a quello fatto edificare da lui, Aigues-Mortes) Luigi IX aggredì verbalmente il suo scudiero, Ponce, per non avergli portato subito il suo palafreno e per averlo di conseguenza costretto a procedere per un buon tratto a piedi. Nonostante la difesa dello scudiero da parte di Joinville, che ricordò al sovrano quanto bene quello scudiero aveva servito suo padre, suo nonno e lui stesso, Luigi non fece alcun passo indietro, e anzi ricordò un insegnamento di suo nonno su come un buon governatore debba essere generoso con chi lo merita e duro con chi non lo meriti.[62]
Ma l’immagine del re proboviro resta predominante nelle pagine di Joinville, soprattutto quando il siniscalco si riferisce all’abbigliamento del re ed ai gesti della sua quotidianità, come quando lo dipinge nel momento di cibarsi:
A tavola fu di gusti così sobri che, in nessun giorno della mia vita, lo udii ordinare un piatto speciale come fanno molti uomini importanti; infatti mangiava semplicemente quello che il suo cuoco gli preparava e che gli mettevano davanti.[63]
Anche nel rapporto con il vino Luigi mostra il suo carattere morigerato:
Allungava misuratamente il suo vino con acqua a seconda della forza del vino[64].
La sua morigeratezza è accompagnata da una grande saggezza: alla domanda se Joinville allungasse il vino con l’acqua ed alla conseguente risposta negativa del siniscalco, lo rimprovera ricordandogli che bere da giovane lo avrebbe portato alla gotta e a malattie allo stomaco nella vecchiaia, e bere da vecchio la avrebbe portato a facili ubriacature. Del resto negli atteggiamenti di san Luigi si ritrova sempre la tendenza a comportarsi come prud’homme, cioè alla saggezza e soprattutto al senso della misura. Le Goff accosta inoltre il comportamento di san Luigi a tavola al comportamento degli ordini monastici e dei frati mendicanti, ai quali guardò sempre come modello e che lo portarono a una tensione interiore tra aspirazione alla perfezione nella regalità e nella vita spirituale.
Gli appartenenti agli ordini mendicanti furono i maggiori biografi e agiografi di san Luigi. Egli ebbe come confessore un domenicano, Goffredo di Beaulieu; sua moglie un francescano, Guglielmo di Saint-Pathus. Entrambi scrissero delle Vitae di san Luigi, ed entrambi, come Joinville, pongono attenzione al suo atteggiamento a tavola. Goffredo di Beaulieu pone l’accento sull’osservanza da parte del re dei digiuni comandati dalla religione, ma ci mostra anche, nella perenne dialettica tra regalità e aspirazione all’ascetismo, come venisse consigliato dal suo entourage a non eccedere e a concedersi degli strappi alla regola. Guglielmo invece descrive san Luigi nell’atto di sfamare i poveri e gli ammalati con le proprie mani e di concedere, durante i suoi pasti, delle elemosina. Siamo di certo in presenza di scritti di parte, ma nonostante ciò possiamo trarre da essi alcune caratteristiche della personalità del re-santo.
Anche nel vestiario si palesa il senso della misura di Luigi IX: a differenza dei sovrani a lui precedenti e successivi, non ama vestire vistosamente e con abiti molto ricchi. Il suo vestiario salta subito agli occhi di Joinville la prima che lo vede a Saumur, ed anche successivamente Luigi consiglia al siniscalco che
Bisognava vestirsi ed armarsi in tal modo che gli uomini saggi di questo mondo non lo trovassero eccessivo e che i giovani non lo trovassero insufficiente.[65]
L’episodio a cui si riferisce questo consiglio (che troviamo sia nel III che nel VI capitolo) è quello di una disputa tra Joinville e Robert de Sorbon: i due sono entrambi intimi di Luigi, che dal loro rapporto trae gran divertimento. È infatti proprio il sovrano che sollecita spesso le diatribe tra i due (come ad esempio quando chiede a Joinville se un proboviro vale di più di un uomo devoto) prendendo a volte le difese di uno, a volte quelle dell’altro, stuzzicando la loro gelosia verso la sua persona. Luigi è un re, un cavaliere, sarà santo: ma è anche uomo, e come tale ama divertirsi.
Sul vestiario di san Luigi si sofferma anche Salimbene da Parma nella sua Cronica: all’arrivo del re al capitolo dei francescani a Sens nel 1248 (il re era in viaggio verso Aigues-Mortes), Salimbene descrive i suoi abiti umili, affermando che “lo si sarebbe detto piuttosto un monaco di fervida devozione, che un cavaliere armato per la guerra”.[66]
Con l’episodio del rimprovero dello scudiero Ponce si chiude il racconto della prima crociata di san Luigi. Da questo momento in poi il rapporto tra il re santo ed il siniscalco si fa, per forza di cose, più sporadico e legato ad incontri per così dire occasionali, come per la convocazione del Parlamento. Anche in questa parte del racconto troviamo alcuni spunti utili per delineare la figura di san Luigi come uomo. Joinville torna spesso, come già visto precedentemente, sull’abbigliamento umile del sovrano e sul suo modo di stare a tavola. In questa parte compaiono altri particolari interessanti, come ad esempio l’aneddoto di san Luigi che, dopo aver mangiato, preferisce una dilettevole conversazione libera, in cui ognuno dice quello che vuole, all’ascolto o alla lettura di un libro, oppure la descrizione della risolutezza con la quale Luigi IX risolveva questioni per lui semplici senza chiedere consiglio a nessuno, come avvenne per la richiesta da parte del clero di un aiuto secolare per eseguire le sentenze di scomunica[67].
Significativa è anche la descrizione della generosità con la quale san Luigi manteneva la sua corte, generosità che, secondo Joinville, avrebbe scaturito anche qualche mormorio tra le persone più vicine al re. Riportando le parole del siniscalco:
il re si comportava generosamente e liberamente nei parlamenti e nelle assemblee di baroni e cavalieri; faceva servire alla sua corte molto cortesemente, generosamente e senza risparmio, e più di quanto fosse stato fatto da molto tempo alla corte dei suoi predecessori.[68]
Ma la peculiarità dell’uomo Luigi IX delineatoci da Joinville è la compassione. Frequentemente nel il Livre, troviamo accenni a opere di carità e di umiltà: san Luigi ha spesso come ospiti per il pranzo dei poveri, dei vecchi o degli storpi, e ogni giorno faceva delle elemosina così grandi e così generose che a fatica se ne può contare il numero[69]. Questa compassione faceva sicuramente parte della sua personalità, ma era anche dettata dal rispetto dei precetti che il re santo aveva imparato, fin da bambino, ascoltando i sermoni e leggendo i testi sacri. Del resto è innegabile che la sua personalità fosse fortemente plasmata dalla dottrina: abbiamo visto che per ogni sua azione, così come ci vengono delineate da Joinville, c’è un riferimento al sacro o alle scritture. Se tutta la sua vita è stata forgiata dalla vocazione religiosa, è normale che anche la sua personalità lo fosse. E questo probabilmente è ancora più evidenziato nel libro di Joinville che, non dimentichiamolo, fece anche da testimone durante il processo di canonizzazione di san Luigi del 1282. L’ultima parte del suo libro sembra anzi quasi una continuazione di questo processo: elemosina, carità, costruzione di chiese e abbazie e appoggio ai nuovi ordini mendicanti, tutto sembra voler confermare la santità del re.
A conferma di quanto appena detto, il penultimo capitolo è dedicato all’esumazione e all’”innalzamento” della bara di san Luigi, avvenuta a Reims il 25 agosto 1298. Qui si legge un moto d’orgoglio di Joinville, che era stato dimenticato dal nuovo re ma che viene citato durante la messa dall’arcivescovo come testimone oculare della santità di Luigi IX, con riferimento all’episodio delle diecimila lire restituite ai saraceni nonostante un accordo in semplice forma orale. E ancora una testimonianza d’affetto e vicinanza tra i due si ha nel penultimo capitolo, nel quale è descritto il secondo sogno del siniscalco nel quale compare il re santo: questi appare davanti la cappella di Joinville, lieto e gioioso nell’affermare la sua intenzione di restare lì[70]. E proprio a seguito di questo sogno Joinville suggella il suo amore dedicando un altare al suo amico santo.
Conclusioni
Ho tentato in questa tesina di delineare la personalità di san Luigi vista attraverso il racconto di Jean de Joinville, ponendo un particolare interesse ai suoi legami affettivi. Questi sono legati quasi esclusivamente alla sua famiglia, o per meglio dire al suo lignaggio: abbiamo infatti visto come gran parte del suo interesse e del suo affetto siano dedicati alla madre ed ai fratelli, mentre sembra dimostrare uno scarsissimo interesse nei confronti della moglie e dei figli in età infantile. Tutto il mio lavoro è stato incentrato sul volume scritto da Joinville, nel quale sono assenti personalità comunque importanti nella vita di Luigi IX, come la sorella Isabella, a cui era legato da un grande affetto e che ci si presenta attraverso le altre biografie e agiografie a loro contemporanee come un alter ego femminile del fratello, il primogenito Luigi, la cui morte nel 1260 a 16 anni provocò un grandissimo dolore al re, e l’altro figlio Tristano, nato durante il periodo di prigionia di Luigi e morto durante la crociata di Tunisi. Molto altro ancora ci sarebbe da raccontare sui legami e sulla personalità di san Luigi, ma quello che è certo è che Joinville si presenta, come già detto durante la prima parte di questo lavoro, come fonte privilegiata e unica per descrivere il protagonista di questo racconto. Riesce a superare il genere dell’agiografia riportandoci anche i difetti e i lati meno positivi di un re che, all’epoca della stesura della sua vita, era già diventato santo, ed è quasi l’unico (mi viene in mente solo Matteo Paris) a mettere in cattiva luce Bianca di Castiglia.
Joinville è inoltre una fonte privilegiata in quanto amico di san Luigi, un’amicizia supportata da un grande amore del siniscalco nei confronti del sovrano, e che molte pagine del suo libro tentano di caratterizzare come reciproco. È forse proprio per questo, assieme al fatto della vicinanza fisica dei due durante i sei anni della crociata, che il Livre des saintes paroles et des bons faiz de nostre saint roy Looÿs si dimostra la fonte migliore e più soddisfacente per il compito che mi è stato assegnato.
Tommaso Ciotti,
BIBLIOGRAFIA
Bibliografia essenziale:
Jean de Joinville, Storia di san Luigi, a cura di Armando Lippiello e con introduzione di Jacques Le Goff, Il cigno Galileo Galilei, Roma 2000.
Jacques Le Goff, San Luigi, Einaudi, Torino 20073.
Cronache, Biografie e Agiografie citate e consultate:
Guillaume de Saint-Pathus, Les miracles de Saint Louis, Percival B. Fay, Paris 19316.
Guillaume de Nangis, Vie et vertus de Saint Louis, Librairie de la société bibliographique, Paris 1877.
Salimbene de Adam da Parma, Cronica, a cura di Giuseppe Scalia, traduzione di Bernardo Rossi, 2 voll., MUP editore, Parma 2007, Vol. II.
Matthew Paris, Chronica Majora, 5 voll., Henry Richards Luard, D.D., London 1964, Vol.V, A.D. 1248 to A.D. 1259.
Per il quadro storiografico:
Beryl Smalley, Storici nel Medioevo, Liguori, Napoli 201211.
[1] Jacques Le G.off, San Luigi, Einaudi, Torino 20073, p.389
[3] cfr. Le Goff, San Luigi cit., pp. 383-387.
[4] Per la relazione di questa tesina ho utilizzato la traduzione italiana di Armando Lippiello, pubblicata a Roma da Il Cigno – Galileo Galilei – Edizioni di arte e scienza. Lippiello si basa sulle traduzioni in francese moderno di Natalis de Wailly e di Jacques Monfrin, che a loro volta integrano il Manoscritto di Bruxelles, risalente all’incirca al 1330, con i più recenti manoscritti di Lucca e Reims (ritrovati rispettivamente nel 1740 e nel 1865), prendendo spunti anche dalle edizioni di Poitiers (1547) e Parigi (1617). Per quanto concerne dunque le citazioni di Joinville, queste saranno in italiano, con il numero di pagina riferente alla sopracitata edizione.
[5] Le Goff, San Luigi cit., p.357
[6] Luigi VIII muore l’8 novembre del 1226 a Montpensier, ucciso dalla dissenteria che lo colpì durante il ritorno a Parigi dopo la vittoriosa crociata condotta contro il conte di Tolosa iniziata il 30 gennaio dello stesso anno. Matteo Paris, nella sua Chronica Major, crede invece all’avvelenamento di Luigi VIII da parte del conte Tebaldo di Champagne, a suo avviso innamorato di Bianca. Cfr. J. Le Goff, La morte del padre e Matteo Paris, benedettino inglese in op. cit.
[7] Le Goff, San Luigi cit., p. 426
[8] Joinville, Storia di san Luigi, a cura di Armando Lippiello e con introduzione di Jacques Le Goff, Il cigno Galileo Galilei, Roma 2000, p. 47
[15] Le Goff, San Luigi cit., pp. 381-382
[16] Guillaume de Nangis, Vie et vertus de Saint Louis, Librairie de la société bibliographique, Paris 1877, p.323
[17] Le Goff, San Luigi cit., p.92
[18] Joinville cit., p. 45
[20] C’è anche un altro episodio in cui il rapporto tra i due sembra ribaltarsi, ed è quello contenuto nel capitolo 131 nel quale il re ascolta benevolmente l’abate di Cluny, che gli aveva regalato due palafreni abbastanza costosi. Joinville rimprovera Luigi, perché a suo avviso aveva prestato più attenzione all’abate a causa del suo generoso regalo, e consiglia lui e tutto il suo seguito di non accettare più regali da coloro che chiedono udienze, consiglio che viene accettato dal sovrano. Joinville, Storia cit., p.193.
[23] cfr. Joinville, Storia cit., p. 181.
[24] cfr. Joinville, Storia cit., p. 119.
[25] Le Goff, San Luigi cit., p. 599.
[26] Joinville, cit., p. 90
[30] Le Goff, San Luigi cit., p.592.
[31] Joinville, cit., p.129
[34] In questo paragrafo mi attengo esclusivamente a ciò che si può evincere dal libro di Joinville.
[37] Le Goff, San Luigi cit., p.343.
[38] Joinville, cit. p. 212
[39] Osserva Guillame de Nangis nella sua Vie de Saint Louis, riferendosi a san Luigi: “manu sua in gallico scripserat”, Guillame de Nangis, Vie et vertus cit.
[40] L’altra citazione è quella relativa al rimprovero allo scudiero Ponce, vedi oltre.
[41] Ne parla approfonditamente Le Goff nel capitolo San Luigi in famiglia in San Luigi cit.
[42] Joinville, Storia cit., p. 39
[43] Obbedienza alla dottrina, non alla gerarchia ecclesiastica, come mostra la discussione tra il re e il vescovo di Auxerre Gui de Mello sull’esecuzione da parte degli apparati amministrativi del regno di Francia delle scomuniche papali: “sarebbe stato contro il volere di Dio e contro ragione di costringere la gente a farsi assolvere anche quando il clero era nel torto”. Ivi, p. 45
[46] Il rapporto di Luigi con domenicani e francescani fu particolarmente stretto. Anche nelle pagine di Joinville questo rapporto viene sottolineato, sia attraverso dialoghi tra il re e i monaci, sia attraverso l’uso di queste figure nei suoi esempi e nei suoi racconti. L’argomento è vasto e già ampliamente trattato, ma quello che qui mi preme sottolineare è che, oltre a un interesse spirituale e religioso, a me sembra che san Luigi sia ammaliato da queste figure anche da un punto di vista umano. In un certo modo forse esse rappresentano il suo ideale di vita, a cui lui aspira ma che non potrà mai raggiungere a causa della sua condizione di sovrano. Mi sembra anche che questa attrazione sia talmente forte da essere notata da Joinville, che nel suo racconto si sofferma spesso su questo rapporto. Una congettura divertente potrebbe essere che sia addirittura geloso dei monaci, come lo fu per Robert de Sorbon, ma che non possa esprimersi a riguardo per la loro evidente posizione di superioriotà.
[48] Salimbene da Parma, Cronica, a cura di Giuseppe Scalia, traduzione di Bernardo Rossi, 2 voll., MUP editore, Parma 2007, Vol. II.
[49] Joinville, Storia cit., p.44
[50] Sull’amministrazione della giustizia ci sarebbe molto da dire. Anche se non è tema della mia ricerca, vorrei comunque sottolineare che spesso Luigi IX fu molto duro nei suoi giudizi, come è d’esempio la vicenda dei sei giovani parigini a Pantelleria (Ivi, pp.189-190). A volte Joinville sembra non apprezzare questa durezza, mentre altre volte, soprattutto quando lui è la parte offesa, chiede una maggiore severità al sovrano (cfr. capitolo 99). È necessario tenere sempre in considerazione, nell’analisi del suo libro, che Joinville pecca spesso di soggettività, considerando questa memoria del re anche come racconto di una parte importante della sua vita.
[59] cfr. “Le rire dans la société médiévale” in “Un autre moyen Age”, J. Le Goff. Nella Chronica Majora Matteo Paris è invece prevalente l’immagine di san Luigi come rex tristis, una tristezza incommensurabile dovuta alla sua sconfitta nella crociata. Un cambiamento d’atteggiamento è sottolineato anche da Le Goff, che enfatizza l’incremento delle pratiche penitenziali di san Luigi dopo il ritorno in Francia, per poi affermare che in ogni caso “la rinuncia definitiva di Luigi a ogni gaiezza è, invece, un fantasma di Matteo Paris”, Le Goff, San Luigi cit., p.366.
[60] Joinville, Storia cit., p. 170
[66] Salimbene da Parma, Cronica cit.
[67] L’esempio che fece Luigi IX fu quello relativo al conte di Bretagna, che venne mantenuto per ben sette anni sotto scomunica prima che questi venne assolto dalla corte di Roma. Cfr. Joinville, Storia cit., p. 197
[68] Ivi, p. 209. Sulla generosità dei pasti offerti da san Luigi è anche interessante la descrizione di Salimbene da Parma e riportata da Le Goff del pranzo offerto dal re ai francescani riunitisi nel capitolo di Sens, cfr. Le Goff, cit. pp.374-275.
[69] Joinville, Storia cit., p. 208
[70] Come nota Lippiello, questa è l’unica volta nella quale san Luigi si rivolge a Joinville con l’epiteto di sire, mentre in tutto il racconto si era rivolto a lui come “siniscalco”. Cfr Joinville, Storia cit., pp. 217-218.